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Su Cancer Cell studio di ricercatori del LNCIB e dell’Università di Trieste finanziato dall'AIRC 

Tumori al seno: scoperto il tratto che li rende più aggressivi


12.07.2011 -

Due caratteristiche in special modo renderebbero i tumori mammari particolarmente aggressivi: la presenza nelle cellule maligne di mutazioni che trasformano il fattore p53 in un pericoloso promotore tumorale e l'espressione a livelli abnormi di una specifica proteina, l'enzima Pin1.

 

Nelle cellule cancerose p53 mutato influenza in maniera drammatica la progressione tumorale e si sapeva. Ora, però, una nuova e determinante tessera è stata aggiunta al complesso mosaico del carcinoma mammario: p53 mutato e Pin1, insieme in un'accoppiata micidiale, sovvertono le funzioni cellulari.

 

Al tratto molecolare dato dalla combinazione di questi due elementi risulta associato un vero e proprio dirottamento del programma genetico attivo all'interno delle cellule, che porta all'espressione di un gruppo specifico di geni in grado di promuovere l'acquisizione da parte delle cellule tumorali di caratteristiche aggressive e della capacità di migrare e invadere altri tessuti. Doti essenziali, queste, affinché una cellula cancerosa possa intraprendere il viaggio che all'interno del corpo la porterà con le metastasi a corrompere organi diversi da quello di partenza.

 

La scoperta, frutto di uno studio condotto dal team internazionale di ricerca guidato da Giannino Del Sal, Professore ordinario di Biologia Cellulare presso la Facoltà di Medicina dell'Università di Trieste e Responsabile dell'Unità di Oncologia Molecolare del Laboratorio Nazionale CIB presso AREA Science Park di Trieste, ha una rilevanza clinica particolarmente significativa.

 

Nei tumori mammari, infatti, la presenza di livelli eccessivi di Pin1 combinati con quella di mutazioni nel gene per il fattore p53 correla con l'esito infausto della malattia, in base a quanto emerge dall'analisi effettuata dagli studiosi su oltre 200 casi di carcinoma mammario.

 

 

L'obiettivo: prognosi più efficienti per nuove terapie specifiche

 

«Un aspetto critico al momento della classificazione della malattia - afferma Del Sal - è l'identificazione attraverso biomarcatori specifici dei casi a elevato rischio di ricorrenza e la capacità di predire la risposta delle pazienti alle terapie, requisito fondamentale questo per poter migliorare le strategie di cura e per guidare le scelte terapeutiche. Il nostro lavoro fornisce un contributo proprio in questo ambito».

 

E spiega il ricercatore: «Le mutazioni nel gene che codifica per la proteina p53 sono alterazioni che ricorrono di frequente nelle donne colpite da un tumore al seno. La maggior parte di queste non ha come esito la distruzione della proteina, ma la sua conversione in un potente promotore tumorale. Per caratterizzare la malattia spesso si ricorre al test che permette di rilevare questo tipo di aberrazioni. Quello che però emerge chiaramente dai nostri studi è che per avere un quadro dettagliato sull'aggressività del tumore e sull'andamento della malattia sarebbe importante associare a questa indagine l'analisi dei livelli di espressione della proteina Pin1.

 

Un metodo di prognosi di questo tipo, basato cioè sulla rilevazione dello stato mutazionale di p53 e della quantità di Pin1 presente nelle cellule tumorali, permetterebbe di discriminare meglio, tra i diversi casi di carcinoma mammario, quelli con una minore probabilità di sopravvivenza e quelli che rispondono in maniera inefficace agli interventi terapeutici, in particolare a un certo tipo di chemioterapia adiuvante. Capire quali pazienti mostrano queste caratteristiche e perché è fondamentale per poter progettare nuove strategie di attacco al tumore».

 

Non solo attraverso p53 mutato e Pin1, aggiunge Del Sal, si otterrebbero informazioni importanti sulla malattia, ma anche dalla valutazione dell'espressione dei geni che costituiscono la firma molecolare associata all'azione di queste due proteine.

 

Da tutto il programma genetico che grazie a p53 mutato e Pin1 viene messo in atto nelle cellule cancerose, è possibile estrapolare un gruppo di 10 geni che, se utilizzati come indicatori, svelano aspetti importanti dell'evoluzione tumorale.

 

La loro espressione, infatti, è risultata correlare con l'esito clinico della malattia: utilizzando una banca dati costituita da oltre 800 casi di tumore al seno, i ricercatori hanno trovato che nelle pazienti che esprimevano questi geni a livelli superiori rispetto al valore medio, l'intervallo di tempo tra la diagnosi del tumore primario e quella di metastasi in altri distretti corporei era più breve e la sopravvivenza ridotta.

 

Il tumore alla mammella, per il sesso femminile, rappresenta non solo la forma di cancro più frequentemente diagnosticata ma anche la principale causa di morte per malattia tumorale. Si stima che nel mondo ogni anno le donne alle quali viene diagnosticato superino il milione.

 

Negli anni i progressi realizzati nel campo della diagnosi, i programmi di prevenzione e lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche hanno portato a un'importante riduzione della mortalità. Tuttavia, ogni anno ancora troppe donne muoiono per la malattia. Una forte eterogeneità caratterizza questa come altre forme tumorali e non riguarda solo i diversi tipi di cellule che compongono il tessuto della mammella ma anche, per esempio, la risposta differenziale delle pazienti ai trattamenti terapeutici.

 

Alla complessità di questo tumore non si associa una completa conoscenza della sua biologia e gli strumenti attualmente disponibili nella pratica clinica, seppur validi, non colgono interamente questa eterogeneità e non sempre permettono di effettuare prognosi accurate e di determinare la probabilità di successo delle terapie, elementi essenziali per decidere la soluzione terapeutica da adottare e, dove necessario, per promuovere lo sviluppo di nuove strategie di intervento.

 

La scoperta effettuata da Del Sal e collaboratori, in tal senso, rappresenta un importante progresso nella comprensione della complessità che caratterizza il carcinoma mammario e fornisce al tempo stesso potenziali nuovi strumenti per condurre analisi prognostiche altamente efficienti e bersagli per lo sviluppo di terapie innovative e specifiche.

 

«Inoltre - conclude Del Sal - la sua valenza non si ferma solo ai tumori al seno. I tumori che presentano lo stesso tipo di mutazioni nel gene per il fattore p53, infatti, potrebbero rivelare aspetti simili a quelli riscontrati nei carcinomi mammari. In questo caso le implicazioni cliniche della scoperta potrebbero essere maggiori e anche in altri tumori l'asse molecolare Pin1/p53 mutato potrebbe risultare associato all'andamento della malattia e fornire interessanti bersagli terapeutici».

 

Questo studio è stato condotto grazie in particolare ai finanziamenti dell'Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC), della Regione Friuli Venezia Giulia e della Comunità Europea.

 

 

p53 e Pin1, insieme nel bene e nel male


Che la proteina p53, una volta mutata, da formidabile guardiano dell'integrità genetica cellulare si trasformasse in un pericolosissimo catalizzatore della trasformazione maligna e del processo che porta alla formazione di metastasi è cosa risaputa da tempo. Quello che invece non si conosceva fino a oggi era che, a parte le alterazione grazie alle quali il fattore p53 mutato assume una nuova e inquietante identità, questo signor Hyde molecolare avesse bisogno di una sorta di complice per esprimere a pieno le proprie potenzialità di promotore tumorale all'interno delle dinamiche cellulari.

 

Ancor meno noto, poi, era il fatto che proprio la proteina Pin1, l'alleata grazie alla quale p53 normale riesce a svolgere il suo importante compito di soppressore tumorale, fosse il partner ideale per il pericoloso p53 mutato. Pin1, come Giano bifronte volta da un lato verso il vitale soppressore della trasformazione maligna e dall'altro verso il potente promotore tumorale, è un enzima che in risposta a segnali specifici causa un cambiamento nella conformazione delle proteine con cui interagisce comportandone la fine modulazione delle funzioni.

 

Quello che il lavoro di ricerca guidato da Giannino Del Sal e pubblicato dalla rivista Cancer Cell, ora mette in luce è una relazione quasi indissolubile tra Pin1 e p53, sia esso normale o mutato, senza la quale il fattore, nel bene della cellula normale o nel male della cellula tumorale, non riesce a esplicare pienamente le sue funzioni.

 

Attraverso una varietà di approcci, infatti, gli autori dello studio hanno dimostrato la dipendenza di p53 mutato da Pin1 nell'esercizio delle sue funzioni: in sua assenza è come se p53 mutato fosse menomato. Insieme le due proteine danno il via a un programma genetico decisivo per l'aggressività tumorale e determinante da un punto di vista clinico.

 

 

Dettagli editoriali

Pubblicazione: Cancer Cell del 12 Luglio 2011
Titolo originale dell'articolo: A Pin1/Mutant p53 axis promotes aggressiveness in breast cancer

Autori: J. E. Girardini, M. Napoli, S. Piazza, A. Rustighi, C. Marotta, E. Radaeli, V. Capaci, L. Jordan, P. Quinlan, A. Thompson, M. Mano, A. Rosato, T. Crook, E. Scanziani, A. R. Means, G. Lozano, C. Schneider, G. Del Sal.


 

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12.07.2011 - Tumori al seno: prognosi più efficienti per nuove terapie

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