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Scoperta di un'equipe di ricercatori triestini 

Huntington: come la proteina p53 agisce sulla malattia


21.10.2011 -

Identificato un nuovo meccanismo alla base della tossicità esercitata sui neuroni del cervello dalla proteina mutata responsabile della malattia di Huntington, uno dei più gravi disordini ereditari che portano a degenerazione il sistema nervoso centrale.

 

Nella tossicità della forma alterata di Huntington, questo il nome della proteina in questione capace di scatenare la devastante malattia, un ruolo fondamentale è giocato da una squadra di enzimi che, mobilitandosi in risposta alla sua presenza, concorrono a rendere attivo uno dei principali guardiani dell'integrità della cellula e del genoma, il fattore p53. Per p53, a volte, proteggere può significare anche condurre le cellule sulla via del suicidio e attraverso quest'ultima strada Huntingtin mutata provoca la morte dei neuroni.

 

Grazie al traguardo raggiunto, le proteine che inducono le cellule del cervello a intraprendere questo viaggio senza ritorno potrebbero diventare il punto d'attacco per intervenire sulla malattia. La scoperta è stata realizzata da un'équipe di scienziati del Laboratorio Nazionale CIB - Area Science Park di Trieste e dell'Università degli Studi di Trieste guidata da Giannino Del Sal, in collaborazione con la Sissa di Trieste e con l'Università degli Studi del Piemonte Orientale e viene pubblicata online questa settimana dall'autorevole rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences.

 

Le cellule all'interno dell'organismo si trovano continuamente a fronteggiare situazioni di stress generate, per esempio, dalla perturbazione del metabolismo o dal danneggiamento del proprio patrimonio genetico. Non si tratta di eventi poi tanto rari, per questo motivo la sopravvivenza e il corretto funzionamento delle cellule all'interno di organi e tessuti dipendono fortemente da un sistema fondamentale di protezione fondato su sensori capaci di lanciare allarmi molecolari, in modo da scatenare una risposta adeguata rispetto al tipo di pericolo che incombe.

 

Una proteina, in particolare, ha un ruolo centrale nel sistema di sorveglianza dell'integrità della cellula e del suo patrimonio genetico: il fattore p53.Grazie all'azione di p53, in situazioni di stress, la cellula riesce a fermare le sue normali attività per dare priorità alla risoluzione dei problemi che la sovrastano, evitando così l'accumulo di danni su danni e il rischio di andare incontro a un destino tumorale. E se il quadro dovesse risultare troppo compromesso è sempre grazie a p53 che viene attuato una sorta di programma genetico d'emergenza per portare la cellula al suicidio.

 

Era già noto da alcuni anni che p53 ha un ruolo anche nella malattia di Huntington, un gravissimo disordine neurodegenerativo causato da un particolare tipo di mutazione nel gene che codifica per Huntingtin. una proteina la cui funzione normale è a tutt'oggi non completamente definita. Della sua controparte mutata, qualcosa si sa: è talmente tossica da causare le devastanti manifestazioni patologiche proprie della malattia, come la graduale e selettiva perdita dei neuroni di alcune regioni del cervello, con conseguente compromissione nelle persone affette delle capacità cognitive e motorie.

 

In questa scena, in che modo entra in gioco p53, ovvero quello che viene definito uno dei più formidabili guardiani del patrimonio genetico o anche uno dei più importanti soppressori della trasformazione tumorale?

 

Lo studio condotto da Giannino Del Sal, Professore ordinario di Biologia Cellulare presso la Facoltà di Medicina dell'Università degli Studi di Trieste e Responsabile dell'Unità di Oncologia Molecolare del Laboratorio Nazionale CIB (LNCIB) - Area Science Park di Trieste, svela ora il meccanismo molecolare attraverso cui si esplica la tossicità di Huntingtin mutata attraverso p53.

 

«In condizioni normali - spiega Del Sal - p53 è presente nelle cellule in una forma, potremmo dire, "dormiente" e a livelli molto bassi. Questo fattore, però, viene risvegliato e accumulato al minimo segnale di stress grazie all'azione combinata e complessa di diverse proteine: enzimi che rilevano problemi e danni e intervengono su p53 modificandolo con l'aggiunta di particolari gruppi chimici e ancora facendogli cambiare conformazione. Il tutto al fine di renderlo attivo o più attivo, a seconda dei casi, e capace di avviare l'espressione di un programma di geni attraverso il quale la cellula reagisce alla situazione che si trova a fronteggiare».

 

Del Sal è specializzato nello studio del cancro e dei meccanismi che regolano la proliferazione cellulare. In questo ambito, da anni dedica parte delle sue ricerche all'analisi delle complesse funzioni svolte da p53 e dei complicati codici molecolari utilizzati dalla cellula per regolarlo. Con il suo lavoro lo scienziato ha fornito contributi significativi che hanno permesso di comprendere meglio la natura di questo fattore, l'ampia varietà di processi cellulari che governa e il ruolo che svolge in condizioni normali e patologiche durante la trasformazione e la progressione tumorale.

 

Dal confronto scientifico con Francesca Persichetti, Professore associato di Genetica presso l'Università degli Studi del Piemonte Orientale e coordinatore di un programma di ricerca sulla malattia di Huntington presso la Sezione di Neurobiologia della Sissa di Trieste, è nata l'idea di una collaborazione con l'intento di mettere a disposizione l'esperienza e il bagaglio di conoscenze scientifiche acquisite da Del Sal su p53 per cercare di comprendere meglio gli eventi molecolari collegati alla malattia di Huntington.

 

Il team di scienziati diretti da Del Sal, così, ha scoperto che la presenza di Huntingtin mutata nelle cellule genera una situazione di stress che attiva gli stessi sensori molecolari che entrano in azione quando viene danneggiato il patrimonio genetico. In particolare si tratta di tre enzimi del tipo delle chinasi, ovvero tre proteine capaci di attaccare un particolare gruppo chimico su p53, e di un enzima del tipo isomerasi, cioè una proteina che fa cambiare conformazione a p53. La loro azione nelle cellule nervose mantiene sveglia la proteina p53, attivando cronicamente una tra le più micidiali delle sue capacità: quella di indurre il suicidio cellulare.

 

I ricercatori, però, hanno anche dimostrato che, interferendo con la catena di segnali e di eventi che rendono p53 attiva in presenza di Huntingtin mutata, è possibile bloccare l'effetto tossico di quest'ultima. Huntingtin mutata, quindi, ha bisogno di p53 e della sua squadra di enzimi attivatori per uccidere le cellule del cervello.

 

La scoperta, se da un lato permette di comprendere un aspetto importante della biologia di questa malattia, dall'altro apre anche interessanti prospettive per il suo trattamento.

 

«Si calcola che da 5 a 10 individui ogni 100 000 manifestino oggi i sintomi di questo terribile disordine neurodegenerativo - sottolinea Persichetti - causato dalla mutazione di un solo gene. Attualmente non è disponibile alcun trattamento in grado di bloccare l'inesorabile progressione della malattia o la sua insorgenza». E continua Del Sal: «Dagli ingranaggi del meccanismo molecolare che abbiamo messo in luce, però, emergono diversi potenziali bersagli, possibili punti d'attacco per l'eventuale sviluppo di nuove strategie terapeutiche».

 

Gli esperimenti condotti dai ricercatori su modelli cellulari indicano chiaramente, infatti, che bloccare i segnali e le proteine che attivano p53 significa prevenire la morte delle cellule. «Sulla base dei nostri dati l'ipotesi che formuliamo, e che ovviamente dovrà essere verificata attraverso un'attenta ricerca clinica, è che l'inibizione farmacologica dei mediatori della tossicità che abbiamo individuato - conclude Del Sal - potrebbe proteggere il cervello dalla perdita di neuroni e rallentare la progressione della malattia».

 

La ricerca è stata condotta grazie al sostegno di Telethon.