04.10.2011 -
di Michele Scozzai
Nel 1870 Trieste era un'altra città. Assediata dalle richieste
del ceto capitalista locale, l'Austria aveva da pochi anni aperto
il primo collegamento ferroviario con Vienna. I traffici
commerciali presero il volo e il comparto marittimo conobbe uno dei
suoi periodi migliori: alla vigilia del primo conflitto mondiale,
il porto era uno dei sette scali più importanti del mondo.
Anche l'industria - sul finire del secolo - trovò a Trieste
terreno fertile e almeno 35-40.000 persone, provenienti dal resto
della penisola, confluirono in città in cerca di lavoro e fortuna.
Tra quelle persone c'era anche il padre di mio nonno. Quando giunse
a Trieste, e Dio solo sa con quali e quanti sacrifici, il mio
bisnonno aprì un negozio: i nostri prodotti riscossero da subito
una buona popolarità e così potemmo continuare a credere all'amara
bellezza di quel sogno da montanari un po' scontrosi.
Differenziarsi per emergere
Faccio parte della quarta generazione dei Masè "triestini": oggi
l'azienda continua a portare il nome di famiglia ed è cresciuta
come il mio bisnonno avrebbe voluto. Negli ultimi quarant'anni
siamo passati da un laboratorio artigianale a una società per
azioni con oltre cento dipendenti, 11 milioni di fatturato e 18
punti vendita. Produciamo quasi esclusivamente prodotti di
salumeria tipici della tradizione triestina: in testa a tutti, il
prosciutto cotto caldo, che in nessun'altra parte d'Italia
esiste.
Negli ultimi anni l'azienda ha percepito il desiderio di
rinnovarsi, di reinterpretarsi. La concorrenza è forte, e chi vuole
rimanere sul mercato deve differenziarsi: rimanere fermi - nel
nostro come in altri comparti - significa morire. Da qui, da questo
contesto, a volte incerto, a volte entusiasmante per le sfide che
ci pone, nasce il nostro rapporto con AREA Science Park e con un
modo per noi insolito di fare innovazione. Il prosciutto cotto
caldo è, per l'alimentazione dei triestini, un punto di rifermento.
In città rappresenta quasi il 25% delle nostre vendite. È il nostro
ariete, il nostro carburante.
Tuttavia presenta un fattore di debolezza attorno al quale mi
arrovellavo da almeno dieci anni: la legge italiana, infatti,
prevede per i prodotti alimentari una catena calda e una catena
fredda. Le due catene non possono intrecciarsi: se un prodotto esce
dallo stabilimento a una temperatura compresa fra 0 e 4 gradi, deve
arrivare al consumatore alla stessa temperatura. Viceversa, se esce
caldo, deve arrivare caldo anche all'utente. Il nostro prosciutto
viene cotto in azienda durante la notte e, come il pane, viene
consegnato caldo la mattina ai rivenditori. Il problema è che
nell'arco di poche ore si raffredda e la qualità del prodotto
inevitabilmente si indebolisce.
Le autorità sanitarie hanno sempre tollerato questa
consuetudine, essendo radicata da oltre un secolo, ma mai di buon
grado. La normativa impedisce di esportare il prodotto non solo a
livello nazionale, ma anche regionale: mantenere la temperatura
costante fino a Monfalcone, evitando il deteriorarsi della coscia,
è già un'impresa. Abbiamo provato di tutto: lampade a
incandescenza, vapori. Ma sempre con risultati scarsi, di fatto
inapplicabili. E il prosciutto cotto, come tanti sanno, dà il
meglio di sé proprio quando è caldo.
L'incontro con AREA e la svolta
La svolta risale al 2005. Quell'anno sono venuti a farmi visita
alcuni rappresentanti del Servizio di trasferimento tecnologico di
AREA Science Park. Mi chiesero se avessi un problema, e mi dissero
che loro erano lì per risolverlo (o almeno per provarci).
All'inizio non li presi sul serio e francamente non nascosi il mio
scetticismo: dentro di me sentivo che sarebbe stato l'ennesimo
tentativo a vuoto.
Senza contare che avevo sempre immaginato che i laboratori di
Padriciano e Basovizza facessero ricerca scientifica con
applicazioni poco compatibili con l'industria. Una ricerca fine a
se stessa, insomma, priva di ricadute economiche e sociali. Ma in
quel momento non avevo niente da perdere, e così accettai
l'ennesimo confronto con i miei prosciutti. Un confronto impari,
pensavo: ma quella volta, insieme ad AREA, grazie ad AREA,
l'avremmo vinto.
Cosce e pomodori
AREA avviò una ricerca brevettuale e, dopo qualche settimana, mi
accennò al fatto che nel settore delle conserve, per il trattamento
dei pomodori, era in uso da tempo una tecnologia che forse poteva
essere adattata alle nostre esigenze. Realizzato un prototipo,
valutate le problematiche igienico-sanitarie ed ergonomiche, ci
trasferimmo alla Stazione Sperimentale per l'Industria delle
Conserve Alimentari di Parma (SSICA) per i primi test. Avevamo
bisogno di un'attrezzatura che scaldasse il prosciutto
dall'interno, visto che tutti i tentativi di farlo dall'esterno
erano precipitati nel nulla. Optammo per una macchina che,
attraverso una serie di aghi conduttori di corrente, potesse
mantenere costante la temperatura del prodotto.
A Parma presero un prosciutto e lo riempirono di sondini: il
laboratorio assomigliava a una sala operatoria. Quando accesero la
macchina, consentendo il passaggio di corrente, rimasi con il fiato
sospeso per alcuni secondi. Un monitor indicava la temperatura
interna della coscia: era importante che non scendesse sotto la
soglia dei 60 gradi. Non so quanto tempo passò, ma la temperatura
tenne e per me fu la soddisfazione più grande. «Funziona» esclamai
«funziona!», sentendomi Peter Cushing nei panni di Victor
Frankenstein. In quel momento capii che eravamo vicinissimi al
traguardo: la strada era ancora lunga e tortuosa, ma mai avevamo
compiuto un passo così importante.
La messa a punto della tecnologia
AREA continuò a seguirmi: analizzammo la tecnologia e
verificammo se fosse brevettabile: seppure largamente nota, la
procedura era applicata in settori completamente diversi dal
nostro. Nulla, quindi, ci poteva impedire di depositare un brevetto
europeo. Ora il prototipo definitivo, realizzato da una ditta
pordenonese e validato da SSICA, è pronto: le Autorità sanitarie
l'hanno approvato e presto cominceremo a costruire in serie le
prime 100 macchine.
Il prototipo assomiglia a una normale morsa per affettare il
prosciutto, una di quelle che si vedono in tutti i supermercati, ma
con alcune piccole differenze: la prima è l'aggiunta di un secondo
archetto mobile, che ci permette di garantire il mantenimento della
temperatura a prescindere dalle dimensioni del prosciutto. Alla
morsa, che alla base ha una serie di aghi ai quali viene fissata la
coscia, è poi collegato un trasformatore: quando la macchina è
accesa, una corrente ad alta frequenza e a bassissima tensione (e
quindi innocua per l'operatore) attraversa aghi e archetti,
scaldando il prosciutto dall'interno.
Un microprocessore e una serie di sonde termiche garantiscono
ovunque una temperatura costante. La morsa è completamente
smontabile e lavabile e presenta un livello di funzionalità,
usabilità e design ottimale. Naturalmente, essendo trasportabile,
ci dà modo finalmente di far arrivare il prosciutto caldo anche in
altre località. Possiamo dire che si tratta di un'innovazione che
valorizza la tradizione. Un obiettivo che con AREA avevamo chiaro
fin dai primi passi.
Dall'idea al piano di sviluppo
Per l'estero e per città particolarmente distanti, ritenendo
sconveniente tenere attivata la macchina per troppe ore, abbiamo
pensato a una soluzione diversa: far viaggiare il prodotto in
catena fredda fino a destinazione e poi riportarlo a 60 gradi
grazie a una macchina simile a quella già concepita, ma con qualche
accorgimento in più. A quel punto, anche il piano di sviluppo
industriale della Masè, realizzato circa tre anni fa in
collaborazione con AREA, poteva spiccare il volo.
Le ricadute previste, per una realtà come la nostra, erano e
sono tutt'altro che trascurabili: un impatto sul fatturato, a
regime, di almeno 2,5 milioni di euro all'anno; una decina di nuovi
posti di lavoro in azienda e qualche decina nell'indotto; nuovi
investimenti, fra impianti, progetti di ricerca e servizi, per
almeno 650.000 euro. Il piano prevede l'apertura di una serie di
concept store marchiati «Masè Salumeria e Ristorazione»,
dove il cliente può mangiare direttamente all'interno del locale
oppure acquistare la merce e portarla via con sé.
Il primo concept store ha aperto a Trieste, ma ce ne sono altri
tre a Grado, Udine e Roma. Presto saranno tutti dotati della morsa
elettrica. Quanti concept store riusciremo ad aprire in futuro,
dipenderà dalle risorse e dalle partnership che riusciremo a
instaurare: l'obiettivo è di aprire una ventina di negozi entro i
prossimi due anni.
Sarà una sorta di franchising: abbiamo già diverse richieste da
parte di imprenditori provenienti da varie città d'Europa e mano a
mano valuteremo ogni singola proposta. Il concept store ci permette
di controllare le vendite e la diffusione del marchio, di
diffondere un format innovativo e ricette di nostra proprietà,
nelle quali abbiamo abbinato prodotti della tradizione triestina
(dai nostri affettati alla ricotta del Carso all'olio di Bagnoli) a
prodotti croati o della Val Rendena (come lo speck).
Il riscontro, a oggi, è davvero buono. Se la strada della mia
azienda dovesse incrociarsi di nuovo con quella di AREA, ne sarei
felice: la prossima volta, prometto, lo scetticismo lo lascerò ad
altri.